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  • Mobilità elettrica, a che punto siamo in Italia

    Nel nostro paese il tasso di motorizzazione è elevatissimo, con 608 vetture ogni mille abitanti, mentre in altri grandi paesi europei come Francia o Regno Unito il tasso è molto più basso, oscillando in media tra le 464 e le 539 vetture ogni mille abitanti. Questo comporta che la mobilità di persone e merci si svolga per la maggior parte su strada, con ricadute pesanti su salute, economia e ambiente.

     

    Da un lato dunque in Italia sarebbe urgente sviluppare una mobilità alternativa, dall'altro i costi per sostituire un parco auto di tali dimensioni e creare le infrastrutture adatte è decisamente elevato e fa da freno allo sviluppo del settore.

     

    Le iniziative a sostegno

     

    Sulla carta il Governo italiano ha scelto un approccio "Technology-neutral", utile proprio a favorire il mercato delle elettriche. Con la legge 134/2012 si è infatti dato il via ad una serie di incentivi per l'acquisto di veicoli a basse emissioni. Tuttavia gli aiuti economici previsti nel piano sono ripartiti in base alle differenti categorie di vetture.

     

    Se andiamo più nel dettaglio infatti possiamo vedere che dei 120 milioni di euro previsti dal Fondo contributi Basse Emissioni Complessive per il triennio 2013-2015, solo il 15% è stato destinato all'acquisto, da parte di tutte le categorie di acquirenti e senza necessità di rottamazione, di veicoli con emissioni di CO2 non superiori a 50g/km. Un altro 35% dei fondi è stato invece destinato all'acquisto di auto con emissioni di CO2 non superiori a 90g/km, mentre ben il 50% è stato destinato all'acquisto di vetture destinate all'uso di terzi o all'interno degli esercizi di impresa con emissioni non superiori ai 120g/km.

     

    La neutralità tecnologica, dunque, non è rispettata dalle misure attuative, che spingono invece alla diffusione soprattutto delle auto a GPL e metano. A questo, poi, c'è da aggiungere il fatto che gli incentivi sono stati sospesi, per un taglio della spesa, con la Legge di Stabilità 2015 che ha azzerato i 45 milioni di euro messi a disposizione per quello stesso anno.

     

    Tra le iniziative del Governo a sostegno della mobilità elettrica c'è anche Il PNIRE, il Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica dei veicoli alimentati ad energia Elettrica, che però ha avuto una vita travagliata e di fatto pur essendo stato introdotto nel 2012 ha ricevuto l'approvazione finale soltanto ad aprile dello scorso anno, con sostanziali ritardi sulla tabella di marcia, già fin troppo ambiziosa. Nel tempo poi i fondi sono stati ridotti e il denaro speso per la realizzazione delle infrastrutture è davvero ridicolo se si guarda alle cifre stanziate, come denuncia un report pubblicato a dicembre 2016 della Corte dei Conti.

     

    L'infrastruttura di ricarica

     

    Anche sull'infrastruttura di ricarica come detto l'Italia si conferma particolarmente indietro. Nel nostro Paese, infatti, secondo il rapporto dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, si possono stimare circa 9.000 punti di ricarica, di cui l'80% (circa 7000/7500) sono privati e appena il 20% pubblici, per un totale di 1750 unità.

     

    Le installazioni comunque nel corso dell'ultimo anno sono complessivamente cresciute di circa 2.500 unità. I punti di ricarica pubblica in particolare hanno fatto segnare un +28%, invertendo così drasticamente un trend rimasto piatto dal 2013 al 2015. Ma non è sufficiente. A tale proposito ricordiamo che il PNIRE ha come "target 2020" l'installazione di un numero variabile di punti di ricarica normal power (ossia con una potenza pari o inferiore a 22 kW), compresi tra 4500 e 13.000 unità, a cui se ne andrebbero ad affiancare altri 2000/6000 di tipo high power (ossia con una potenza superiore a 22 kW): ce la faremo?

     

    Lo stato delle cose

     

    Gli scarsi incentivi da un lato e la mancanza di infrastrutture adatte alla ricarica, sia nei centri abitati che sulle strade extraurbane, fa il resto. Sempre dal rapporto del Politecnico di Milano emerge così che il nostro paese attualmente pesa appena circa l'1% nel mercato europeo. Nel 2016 sono state vendute 2.560 auto elettriche, circa lo 0,1% dell'intero mercato italiano dell'auto e il trend è stabile (e in controtendenza sul dato globale) rispetto al 2015.

     

    La quota di mercato dell'auto elettrica è in Italia circa un decimo degli altri grandi Paesi europei. Tale divario diventa ancora più ampio se paragonato ai Paesi del Nord: in Svezia le immatricolazioni di veicoli elettrici sono 2,4% del totale, in Olanda il 9,7% e in Norvegia addirittura il 23,3%.

     

    Il mercato dell'auto a batteria resta dunque decisamente di nicchia, sotto la soglia di rilevanza. E se negli anni scorsi le immatricolazioni mostravano un trend positivo (sono aumentate del 64,35% tra il 2013 e il 2014 e del 62,20% tra il 2014 e il 2015), secondo l'E-mobility Report nel 2016 la crescita è stata pari allo zero. Secondo CEI CIVES a dicembre 2016 il parco auto a batteria circolante in Italia era pari a 8.750 vetture.


    Possibili prospettive

     

    L'Italia dunque attualmente è ben lontana dai risultati raggiunti da alcuni dei più virtuosi paesi europei, come Francia e Germania e soprattutto Norvegia, la nazione più alto tasso al mondo di veicoli elettrici per popolazione e nel medio termine la situazione potrà migliorare solo parzialmente e solo se da oggi in poi l'impegno del Governo e delle aziende sarà davvero concreto.

     

    Innanzitutto sarà necessario accelerare lo sviluppo della ricarica pubblica secondo quanto previsto dal PNIRE, rimuovendo gli ostacoli e le ragioni che hanno ritardato sino ad ora gli obiettivi. Allo stesso tempo, si deve iniziare a lavorare per lo sviluppo di una rete di ricarica privata negli edifici di futura costruzione, attraverso il concorso di attori pubblici e prevedere la possibilità di ricarica negli edifici esistenti.

     

    Non può mancare poi l'impegno delle case automobilistiche per un convinto impegno verso formule di marketing, vendite e noleggio che stimolino l'acquirente e che lo sensibilizzino, per esempio, sul basso costo di esercizio del veicolo elettrico in contrapposizione al maggior costo iniziale.

     

    Da non sottovalutare anche l'introduzione di mezzi elettrici nei segmenti di mobilità con maggiore efficacia: la logistica dell'ultimo miglio, le flotte aziendali, TPL, la mobilità leggera, le flotte delle amministrazioni comunali. Per sviluppare queste ultime c'è però bisogno di misure regolatorie favorevoli.

     

    Infine, sarà indispensabile l'adozione da parte dei Comuni di misure che favoriscano ed accompagnino la mobilità elettrica, in modo tale da far sentire il cittadino motivato nella scelta dell'auto a batteria. In questo caso parliamo di misure che indirettamente incentivino l'uso dei veicoli elettrici e disincentivino quello dei mezzi tradizionali.

     

    In un'area urbana estesa come quella di Roma, ad esempio, oltre alle già esistenti agevolazioni delle soste, dei parcheggi e degli accessi ZTL per le auto ibride o elettriche, ultimamente si è optato per l'eliminazione dei divieti di circolazione a targhe alterne in favore di un più organico ed efficace piano di circolazione che, nei mesi centrali dell'anno, ha vietato durante la settimana l'accesso alle zone più centrali della città ai veicoli più vecchi ed inquinanti.

     

    Tutte queste misure comunque saranno insufficienti se a livello governativo non si manifesterà nei prossimi anni una vera volontà di promuovere l'elettrico, mettendo in campo strategie incentivanti simili a quelle utilizzate in altri paesi europei e realizzando come detto un'infrastruttura di ricarica cedibile. Un grande contributo lo darà anche il prezzo delle auto elettriche che, secondo un recente report di Bloomberg, dovrebbe scendere nel prossimo decennio, soprattutto grazie al taglio dei costi delle batterie, che avranno anche un'autonomia maggiore grazie agli sviluppi tecnologici.