A noi italiani, per ora, la cosa può interessare relativamente, visto la scarsa diffusione di auto elettriche nel nostro paese (in crescita, però: erano lo 0,21% delle auto vendute nel 2013, nel secondo trimestre 2017 sono state l’1,19%), ma in altri paesi si comincia a pensare seriamente ad utilizzare le batterie di questi mezzi per la regolazione della rete elettrica.
Si tratta del cosiddetto V2G (Vehicle to Grid), cioè la possibilità per un operatore elettrico di controllare i sistemi di carica connessi a migliaia di batterie automobilistiche in fase di rifornimento, così da utilizzarle per stoccare un eccesso di produzione o, al contrario, per dare un impulso di energia alla rete, così da stabilizzarla.
Il distributore che organizza questo sistema ha così modo di avere a disposizione vari megawattora di capacità di accumulo, senza dover costruire costosissimi sistemi di accumulo dedicati, mentre il proprietario dell’auto elettrica può godere di altri benefici, come utilizzare elettricità gratis o veri e propri pagamenti mensili per il servizio.
I sistemi sperimentali di V2G sono in corso in varie parti del mondo. Per esempio in California dove un miliardo di dollari sarà investito dalle grande utilities per implementare sistemi di ricarica bidirezionali.
Una delle società più attive nel campo è proprio la nostra Enel, che, con la Nissan, ha progetti in corso da un anno in Danimarca e Gran Bretagna, e da primavera scorsa in Francia Germania e anche Italia, con l’uso a questo scopo di una centralina di ricarica V2G installata per le auto elettriche dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. In Danimarca, invece, le centraline Enel V2G sono dieci, e sono state posizionate presso l’azienda servizi della città di Frederiksberg, che usa molti mezzi elettrici.
«Per noi oggi un’automobile è una batteria con le ruote. Il sistema V2G è una tecnologia che può migliorare le prestazioni del sistema elettrico e creare valore per i proprietari delle autovetture», dice Ernesto Ciorra, Direttore Innovazione e Sostenibilità di Enel.
La pensano allo stesso modo anche l’utility elettrica britannica Ovo, che ha lanciato a ottobre, sempre con la collaborazione della Nissan, il primo servizio commerciale V2G. Aderendo, il proprietario di auto elettrica riceverà uno speciale caricabatteria, tramite il quale Ovo potrà utilizzare, entro limiti prefissati dal proprietario dell’auto (che così non rischia di trovarsi al mattino con la batteria scarica) l’accumulatore dell’auto come un pezzo del suo sistema di accumulo diffuso; in cambio garantirà sconti sull’elettricità pari, in pratica, al costo annuale dei consumi di una auto elettrica come la Leaf.
«Per ora, con sole 100mila auto elettriche in Gran Bretagna, i numeri sono piccoli, ma in futuro la flessibilità consentita dal poter gestire carica e scarica di milioni di batterie per auto collegate alla rete, trasformerà il panorama dei sistemi elettrici, evitando costosi adeguamenti della rete elettrica per accogliere sempre più rinnovabili intermittenti e riducendo il numero di potenza programmabile da aggiungere alla Rete», ha detto l’AD di Ovo, Stephen Fitzpatrick.
Tutto bene quindi? Non proprio. A molti non sarà sfuggito un punto “oscuro” di questi progetti V2G: la batteria dell’auto, con tutte queste cariche e scariche nei periodi in cui resta attaccata alle centraline di ricarica (cioè per la maggior parte del tempo), non sarà che verrà usurata e il proprietario si troverà con accumulatori dell’auto invecchiati prima del tempo?
Il dubbio era venuto alcuni mesi fa anche all’ingegner Matthieu Dubarry della University of Hawaii a Manoa, che, facendo alcune simulazioni su quale effetto avrebbe avuto un uso V2G di una oppure due ore al giorno su una batteria di auto, ha concluso, a maggio 2017, sulla rivista Journal of Power Source, che nel primo caso si avrebbe avuto una perdita di capacità della batteria accelerata del 33% rispetto all’uso normale e nel secondo addirittura del 75%.
In pratica lasciare che una utility usi ogni giorno per un paio di ore la batteria dell’auto, ne dimezzerebbe la vita utile a circa 5 anni.
Questo studio sarebbe stato la pietra tombale su ogni speranza di V2G - nessun proprietario di auto elettrica sano di mente consegnerebbe il proprio veicolo a chi ne dimezza la vita utile - se, per una curiosa coincidenza, il mese dopo, a giugno 2017, non fosse uscita su un’altra rivista, Energy, una ricerca dell’ingegnere Kotub Uddin, della Università di Warwick, che, dopo aver usato per due anni le auto elettriche parcheggiate davanti al suo istituto per alimentare la rete dell’edificio, arrivava a una conclusione diametralmente opposta: non solo il V2G non è dannoso, ma può anche aumentare del 10% la vita utile delle batterie.
A questo punto fra Uddin e Dubarry, sarebbe potuto cominciare una “guerra scientifica” senza fine, a colpi di pubblicazioni critiche uno del lavoro dell’altro, e invece i due hanno deciso di lavorare a un nuovo studio in comune, che cercasse di capire come fosse stato possibile arrivare a due risultati così diversi.
La ricerca è apparsa adesso su Energy Policy, e, sostanzialmente, conclude che avevano ragione entrambi.
Matthieu Dubarry era nel giusto a concludere che se una batteria fosse “drenata” e riempita più e più volte ogni giorno di elettricità, solo per soddisfare il più possibile le esigenze dell’utility che la usa, o anche massimizzare il profitto di chi la mette a disposizione, senza nessun riguardo per le caratteristiche dell’accumulatore al litio, questo porterebbe a danneggiarla molto rapidamente, causando il calo di vita utile calcolato.
Ma, sostiene Kotub Uddin, è ovvio che per l’uso dei sistemi V2G, saranno implementati speciali algoritmi di scarica-ricarica, che realizzeranno un compromesso fra necessità di utente, utility e punti deboli delle batterie al litio, al fine di minimizzare o persino annullare l’usura degli accumulatori durante l’uso stazionario.
Il problema, per arrivare a questo compromesso, è stabilire cosa veramente danneggi una batteria al litio, e questo punto non è ancora perfettamente chiaro.
Uddin, comunque, nella sua ricerca, ha compiuto lo studio più approfondito sul tema che si conosca, concludendo che tutto dipende da una complessa combinazione di diverse variabili, fra cui temperatura al momento dell’uso, età della batteria, profondità della scarica, intensità della ricarica.
Combinando questi fattori in un algoritmo specializzato per minimizzare i danni agli accumulatori, utilizzato poi per i veicoli elettrici che “caricavano” un edificio nel suo Istituto universitario, l’ingegnere ha concluso che seguendo quel protocollo di carica-scarica, non solo non si accorciava la vita della batteria, ma addirittura la si allungava del 10%, in quanto stare per molte ore inattiva, non fa bene alle batterie al litio: moderati cicli di carica-scarica in quei momenti mantengono la batteria più efficiente.
«Il mio collega aveva quindi ragione a dire che se si usassero le batterie nel V2G, caricandole e scaricandole a volontà, senza nessun criterio per proteggerle, si finirebbe per danneggiarle. E questo renderebbe improponibile il V2G», spiega Uddin.
«Ma la mia ricerca indica invece che si possono elaborare procedure di carica-scarica pensate appositamente per il V2G che rendono questo metodo una strada perfettamente percorribile per fornire assistenza alle esigenze della rete, e anche una fonte di reddito per i proprietari di auto elettrica. Come bonus, inoltre, questo tipo di utilizzo degli accumulatori al litio, se fatto bene, estende perfino la vita delle batterie, fornendo un altro forte incentivo a implementare questo tipo di servizio».